I tentativi di rendere l’acqua sempre meno una risorsa a disposizione di tutti e sempre più una merce da far pagare (col tempo) a caro prezzo non sono una novità, ma sono iniziati già alcuni anni fa. Già nel 2002, infatti, fu varata una legge che portava le cosiddette “municipalizzate” ad essere trasformate in società per azioni.
Nel 2008 continuò quella che Paolo Rumiz ha definito (giustamente) “la svendita di un patrimonio comune, mascherata da rivoluzione efficientista”. Infatti, nel mese di agosto di quell’anno, e nell’assoluto silenzio della cosiddetta “opposizione”, venne approvata la legge 133, che con l’articolo 23 bis obbligava i comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010. L’ultimo in ordine di tempo è stato il recente decreto Ronchi (135/09), grazie al quale i comuni dovranno avere almeno un socio nella gestione del servizio idrico, diminuendo drasticamente la loro presenza a vantaggio dei privati.
Insomma, nel silenzio, nell’indifferenza e nell’ignoranza generali, con la pretesa attuazione di obblighi comunitari in materia di servizi pubblici locali e con la solita favola di un efficientismo che mai vedremo in questo Paese, si è cercato in tutti i modi di levare alle persone il bene più prezioso di tutti, la base stessa della nostra sopravvivenza.