Prostituzione. Chi la esercita deve pagare le tasse. Cassazione

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La Corte di Cassazione (sentenza n.20528 dello scorso 1 Ottobre) ha accolto un ricorso dell’Agenzia delle entrate ritenendo sottoposti al prelievo Irpef, Irpa e Iva i guadagni di una ballerina che si prostituiva. Si legge in sentenza: “pur essendo tale attivita’ discutibile sul piano morale, non puo’ essere certamente ritenuta illecita”. Non solo. Non assume nessun rilievo, hanno spiegato i giudici, la risposta a interrogazione parlamentare del 31 luglio 1990 del ministero delle Finanze secondo cui i proventi della prostituzione non sarebbero tassabili, trattandosi di una valutazione peraltro risalente nel tempo, che non vincola in nessun modo i giudici.

 

Prostituzione. Chi la esercita deve pagare le tasse. Cassazioneultima modifica: 2010-10-05T11:00:51+02:00da consumatori
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2 pensieri su “Prostituzione. Chi la esercita deve pagare le tasse. Cassazione

  1. Che in questo modo le extracomunitarie possano ottenere il permesso di soggiorno per prostituzione e le comunitarie l’iscrizione anagrafica per la medesima mansione.

  2. Faccio notare che purtroppo la detta Pronuncia della Suprema Corte nel proprio testo non ha tenuto conto dei dettami della Legge 75/1958 agli articoli 7 e 3 comma primo numero 8, i quali impediscono di registrare le donne come prostitute e che lo stesso Stato con le tasse può diventare uno sfruttatore dell’altrui prostituzione.Inoltre, nella medesima Sentenza è stato appurato che il sesso a pagamento non è attività “illecita” e di conseguenza non può entrare nei parametri dell’articolo 6 comma 1 del D.P.R. 917/1986 T.U.I.R., chiarificato dalla Legge 537/1993 articolo 14 comma 4 e dalla Legge 248/2006 articolo 36 comma 34 bis ed in tal modo i principi di queste norme non possono derogare implicitamente ai suddetti dettami della Legge 75/1958 secondo i quali la prostituzione non può essere tassabile. In altre parole, contrariamente ai suoi dettami principali, la nuova fattispecie giurisprudenziale potrebbe addirittura favorire la non fiscalità del lavoro sessuale in Italia.Quindi, al fine di non pagare le tasse per l’esercizio del meretricio, si può benissimo svolgere nuovamente un altro ricorso alla Suprema Corte con il suddetto teorema messo in contrasto parziale alla sua ultima Sentenza n. 20258/2010, senza prendere in considerazione come tesi difensiva alcuna interrogazione parlamentare, come invece è stato ipotizzato dalla difesa della persona che ha perso la causa.

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