“Burn Out”. Con questo termine si definisce quella sindrome che colpisce il lavoratore costretto a svolgere la propria mansione in un ambiente ostile, strutturalmente rigido sotto l’aspetto relazionale, competitivo e soggetto a turni prolungati con conseguente(surmenage) ossia, affaticamento intellettuale e fisico. Si attribuisce ad Herbert Freudenberger psicanalista americano, l’introduzione di questo termine, atto a descrivere una diminuzione di energia ed entusiasmo verso il proprio ruolo lavorativo. Le persone dinamiche risulterebbero più propense a tale sindrome, in quanto disponibili a un totale coinvolgimento in ogni campo. Contrariamente invece, c’è chi sostiene che il “Burn Out” colpisce gli insicuri, privi di ambizioni e di fiducia in se stessi. Il menzionato disagio in ogni modo, non scaturisce improvvisamente, ma è frutto di molteplici cause come: un eccessivo carico di lavoro, un merito aspettato (avanzamento di carriera) ma non riconosciuto, un rapporto difficile con un collega. Tutto questo, porta d’istinto ad allontanarsi definitivamente dal proprio ambito lavorativo e, l’impossibilità di farlo, innesca i sintomi tipici della sindrome. Stanchezza fisica e mentale, depressione, senso d’ inidoneità verso la propria mansione, costituiscono quel processo logorante che si identifica nel termine “Burn out”.
E’ compito quindi delle varie aziende, programmare il lavoro in modo corretto nel rispetto della persona. Adottare nuove strategie lavorative porterà a risultati soddisfacenti per entrambi. Dividere il lavoro in modo equo, gratificare e motivare, aumentare il personale, servirà a non alimentare i casi di “Burn Out”.